L’Usciòlo, un syrah in purezza a Cortona
Mi guardo gli anfibi che ho indossato stamani, sono sporchi di terra, non li ho puliti per la fretta di montare in macchina ed arrivare in vigna.
Destinazione Cortona, località La Dogana, un viaggio breve ma intenso di immaginazione, di voglia di scoprire e soprattutto di evadere da una realtà pesante. Un luogo facile da raggiungere la Cantina Doveri, tanto da dover mettere in discussione il “sei arrivato a destinazione” del mio navigatore; una casa sulla strada e dieci metri di sterrato per parcheggiare, un vialetto di pochi metri e Fabrizio Doveri che sorride da lontano.
Un’accoglienza genuina e spontanea in questo soleggiato pomeriggio ma, contrariamente alla mia solita immaginazione, i miei anfibi terrosi servono solo a scendere una rampa di asfalto per giungere davanti ad una Cinquecento d’epoca azzurra metallizzata, ben in vista dal garage sottostante la casa.
Che storia è questa? Certo, sarebbe stato ridicolo mettere un tacco dodici, ma, pensandoci a posteriori, indossarlo non sarebbe stato del tutto fuori luogo. Davvero, mi sento strana, colpita alla sprovvista da un’immagine desueta e inaspettata, un po’ scettica e un po’ divertita al pensiero dei vigneron d’oltralpe - les garagistes – i quali dettero, negli anni Novanta in quel di Bordeaux, un nuovo trend enologico, incuriosendo il mondo degli appassionati. Varcando la soglia della porta adiacente al garage, si entra nella cantina asettica, pulita e con acciai e barrique ordinati: piccola ed accogliente, con in fondo un lungo tavolo apparecchiato e, di lato, un mobile decapato, più in fondo, uno svettante tonneau ovale.
Nessuna traccia di umidità sui muri, una temperatura naturalmente perfetta ed una finestrina in alto che dà una luce calda ed accogliente. Sì, Ma la vigna di syrah dov’è? E’ distante dalla cantina 15 km e questo pomeriggio non c’è tempo di visitarla; peccato, sarebbe stata la mia prima passeggiata tra i filari di syrah cortonese, motivo in più per perdonarmi i miei sporchi anfibi. Me ne faccio una ragione ed ascolto Fabrizio Doveri, produttore di vino syrah, con i suoi due ettari di piante diciottenni; la syrah, sinonimo di Cortona nel panorama enologico Toscano, in questa zona cresce e regna come in Cote Rotie nella Valle del Rodano; viene raccontata da Fabrizio Doveri con passione, mitigata dalla sua calda voce che non esita a parlare della sua precedente vita nel mondo della moda, della sua scelta di vivere per quei filari che non conoscono chimica o stregonerie artificiali.
Le sue piante sono creature, allevate con particolari non trascurabili: ogni giorno un controllo maniacale, il rispetto per ogni forma di vita che le circonda, la garbata accortezza che le vigne stiano bene senza alterare il loro percorso con intrugli chimici; sono come figli, con una personalità da seguire e non da declinare o schiacciare a proprio arbitrio.
Fabrizio ha un appeal che non lascia indifferenti gli sguardi femminili, un produttore dalla semplicità apparente, un fisico atletico e un attento e modesto osservatore verso chi gli si trova di fronte.
Fabrizio Doveri produce solo un’etichetta: un prodotto di nicchia questo vino, L’Usciòlo, nome partorito per notti insonni passate a pensare a quella porticina della botte – detta appunto l’usciòlo - che continuava a perdere vino per mancanza di tenuta e che a Fabrizio dava un quotidiano e tormentato interrogativo: “ma andrà perso tutto per terra il mio vino?” La prima bottiglia, dopo battaglie con guarnizioni difettose tamponate con qualsiasi cosa, esce dieci anni fa con l’etichetta di juta, poi, un cambio di caratteri (vagamente richiamanti gli anni Settanta) che donano alla bottiglia una presentazione estetica che non può lasciare indifferenti.
La sorpresa nell’assaggio arriva immediatamente con un bicchiere di campione di botte 2019, un syrah esplosivo di frutta scura e fresca, un bel pepe nero in grani: davvero energizzante. Una pozione magica, un bel bere ed un bel dire già annunciato per ciò che diverrà, tanto che ci sediamo al tavolone già protesi per il parlar facile. L’Usciòlo di Fabrizio rompe ogni ghiaccio, e lo scambio di battute diventa fluido e senza schemi. Si parla di noi, di lui, delle sue conquiste internazionali, di quanto vino ha venduto - con sorpresa - in quest’anno pandemico, e delle sue cene in vigna che devono restare in stand-by ancora un po’. La Cantina Doveri vende il vino più di prima, è richiesto in tutto il mondo, ma Fabrizio sembra esserne gelosissimo: non mette in mano a dissennati palati le sue creature, non si lascia trasportare da manie di protagonismo ed ha una sensibilità fuori dal comune, anch’essa ben custodita e preservata proprio come le sue bottiglie.
L’Usciòlo 2018 è un vino vestito rouge-noir, un colore che Dior inventò negli anni Novanta: un rosso scuro che non permette all’occhio di oltrepassare quel vino nel calice. Al naso, a calice fermo, è un’esplosione di mora e pietra bagnata; muovendo il bicchiere, salta fuori la mora in confettura, la ciliegia sotto spirito, il pepe nero (tatuaggio del vitigno) per poi regalare sentori di torrefazione e sigaro dolce. La bocca è ricca, piena di frutto già con il primo sorso, e quei quindici gradi sembrano passare inosservati. Un attacco grintoso, ma va giù che è una meraviglia. La confettura di mora e la prugna matura sono seguite da terziari speziati di cioccolato fondente e tabacco. I tannini eleganti e composti e la freschezza al palato fanno sì che si sorseggi senza sosta; e si parla, si riporta il calice alla bocca e le parole escono a fiumi, assemblate da ogni nostro stato d’animo.
Il momento conviviale ci rende amici senza neanche accorgercene e, intanto, la bottiglia finisce in poco tempo, lasciandoci anche un po’ spiazzati. Apriamo la 2017: indiscutibile l’invalicabile colore scuro, ma le nuances ai lati del calice sono più granate, l’olfatto porta alla confettura di frutti di bosco, frutti maturi e fiori appassiti, ed il cacao e ed il caffè si spingono di più al naso. Si riparte con le chiacchiere, brindando alla vita che ci ha portato via un anno ma che ci ha dato ancor più voglia di condividere intensamente ogni istante. Un’emozione audace e giovanile che dobbiamo alla freschezza e pienezza del frutto in confettura e a quel mantra del pepe nero, che non esita a farci pensare ad energie piccanti. Escono note balsamiche che ci aprono il naso; respiriamo ancora in questo calice e, ancora una volta, il vino ha tanto da dire, ma è tempo di rientrare. Mi prendo due bottiglie e salgo in macchina, ma tornerò presto, magari quando Fabrizio potrà nuovamente fare la sua cena in vigna ed ospitare tante, tantissime persone come faceva un paio di anni fa.
Modalità di uso dell’Usciòlo? Aspettarlo, non aver fretta di sorseggiarlo quando è nel calice, trattarlo con amore; data la sua versatilità, l’abbinamento sarà a vostra discrezione (provato anche con un dessert al cioccolato fondente sarà un’autentica goduria).