Il Canaiolo Nero
Pensando alla Toscana vinicola, il primo protagonista che viene subito in mente non è altro che lui: il Sangiovese. Quando non viene lasciato da solo a brillare sul podio, nella sua espressione più alta, vinificato in purezza, viene spesso accompagnato dai suoi "cugini" vitigni autoctoni, storicamente presenti in Toscana e nell'area del Chianti in particolare, che, a seconda dei casi, zone, climi, lo "addomesticano", lo valorizzano, lo esaltano, lo abbracciano. Uno di questi è il Canaiolo nero, anche conosciuto semplicemente come Canaiolo che, oltre al ruolo di complementare, si sta ormai facendo strada da solo, trovando una propria identità, sempre più definita.
Oggi viene coltivato in tutto il centro Italia ed è conosciuto con diversi nomi: Caccione Nero, Uva dei cani, Uva merla e Tindiloro.
Si legge, dalla penna di Fabio Giavedoni (Slow Wine):
"Il suo particolare nome pare derivare dal fatto che il periodo dell’invaiatura cade nei dies caniculares – i giorni canicolari (24 luglio-24 agosto) – oppure dal caratteristico sapore amarognolo dell’uva e del vino che potrebbe ricordare la rosa canina".
Se ne sente già parlare agli inizi del XIV secolo nel “Trattato dell’Agricoltura” di Pier de Crescenzi, appellandolo come “Canajuola”, definendolo una “bellissima uva e da serbare”. Insieme al Sangiovese e alla Malvasia, il Canaiolo andava a comporre la ricetta originale del Chianti Classico codificata nel 1872 dal Barone Bettino Ricasoli, nella misura di sette parti di Sangiovese, due di Cannaiolo, una di Malvasia.
Il particolare sapore dolciastro-acidulo si fa apprazzare anche per l'impiegno nel "governo all'uso toscano", aggiungendo al vino dell'ultima vendemmia, nel mese di dicembre, del mosto ottenuto dalla piagiature delle uve fatte appassire su stuoie o graticci o lasciandole sovramaturare sulla pianta.
Questo vitigno dall'animo delicato ha raccolto e raccoglie tutt'oggi consensi, grazie anche alle differenti espressioni in vini IGT Toscana, molto presenti nelle produzioni delle aziende del Consorzio Chianti Colli Fiorentini. La sua espressione gentile - attenzione, non banale - si fa apprezzare dai più ed è sicuramente un varietale da tenere sotto osservazione nel prossimo futuro. Le realtà toscane del Chianti fiorentino stanno lavorando davvero bene per valorizzarne le caratteristiche e ne sono dimostrazione sia la versione secca che quella passita. La prima esprime bellissimi corredi aromatici di frutti freschi e spezie aggraziate, confermate da sorsi pieni e succosi.
La versione passita è qualcosa che accontenta tutti i palati: al suo primo assaggio qualcuno racconta di esser stato trasportato indietro nel tempo, a una piccola bottega in Oltrarno (quartiere storico della riva sinistra dell'Arno, diametralmente opposto al centro storico), un'isola felice di bambino dove si andavano a scegliere le "chicche", i dolciumi che si chiedevano in dono alla Befana (auspicando di evitare il carbone!). Quel manto di zucchero lieve e confettura che avvolge il naso è lo stesso che si percepiva varcando la porta a vetri di quel negozietto: un tuffo dentro una nuvola dolce. Il suono del campanello che sentivi entrando in quell'emporio è un rimando nostalgico ma ben definito di dolcezza, data dal frutto scuro cremoso, che ti culla e mai ti stanca. Quella suadenza al palato che va a braccetto con tanti dessert della tradizione fiorentina e non solo. Delicatamente dolce, dal sorso fresco e appagante da farsi apprezzare anche da solo, in completo relax.
Ne è un esempio il Dama Rosa Canaiolo Passito Toscana IGT 2018 dell'azienda La Querce:
100% Canaiolo- l'uva appassita sulla pianta viene diraspata e pigiata in maniera soffice, pressata dopo una notte a contatto con le bucce. Matura per circa 16 mesi in barriques di legno francese di media tostatura di 2^ passaggio, cui segue un affinamento in bottiglia di almeno 6 mesi. Frutti di bosco in confettura, accenni di zucchero a velo, agrumi canditi e finale leggermente balsamico. Una vera coccola.