Wine Paris 2022 val bene un viaggio...last minute

Wine Paris Wine Expo 2022

Vale un viaggio deciso all'ultimo minuto


E’ stata una decisione fulminea partire per Parigi, tempo 24 ore ed ero già là con un piccolo trolley ed il volto spaesato. Una città che conosco, eppure dopo due anni tutto è sembrato davvero strano: il traffico, centinaia di persone per strada, un centro vivo ed i locali affollati mi hanno affaticata ed esaltata allo stesso tempo. Wine Paris - Vinexpo Paris dal 14 al 16 Febbraio 2022, è stata una bolla, una bellissima bolla in cui crogiolarmi per tre giorni; un luogo dove il mondo si è incontrato e dove io, sola per i corridoi, ho riassaporato il gusto della conoscenza, dell’approccio umano e della mia riabilitazione al confronto. Difficile spiegare cosa mi abbia spinto a partire così, come fossi in fuga, ma sicuramente una sorta di prova dopo lungo torpore, perché uscire dalla casa-rifugio non è mai stato così difficile come in questo momento.

Rientrata a Firenze ho aperto la valigia, scoprendo che dentro non c’era solo il ricordo di Parigi e della sua bellezza, bensì di una moltitudine di volti, di profumi e di sapori provenienti da molte altre città, nazioni e continenti. Ma ho fatto un po’ di ordine ed ho tenuto di Wine Paris - Vinexpo Paris quelli più significativi per me.



Portogallo – Quinta de Pancas

Azienda in essere dal 1945 con un’area di 75 ha di cui 50 vitati a Est dell’Oceano Atlantico. Siamo a 45 km da Lisbona, tra colline e montagne arginate dalla Serra del Montejunto, che pregiudica un distintivo nei vini non indifferente. Gilberto Marques, enologo dell’azienda, non preclude gli internazionali, anzi, ne fa uno scalpo ed un supporto all’Arinto e al Vital per i bianchi con chardonnay, mentre per i rossi Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot e Petit verdot, uniti all’autoctono Alicante Bouschet e Touriga National. 

Vini Corposi ma freschi, scuri nel calice ma non austeri: brividi di goduria e scoppiettante mineralità (ebbene sì, mineralità!) per l’Arinto in purezza riserva (bianco) e per il Cabernet Sauvignon 2016 (rosso), assolutamente da provare se non si conoscono. 

Arinto in varie declinazioni, etichette diverse anche nello stile, le quali convergono in una bella direzione di frutti bianchi e di agrumi: è quel trait d’union di sapidità e freschezza a renderli gustosi. 



Faccio un salto in Spagna e c’è Madrid con il colore, vita estiva con l’insolita etichetta PulpoLoco, che effettivamente non è un vino ma una sangria confezionata in allegri cartoncini pronti all’uso, coloratissimi e di materiale riciclabile. Un vino-nonvino con gusti variabili, sapore di agrumi, o dolci spezie, una gradazione alcolica di 5,5% che fa pensare al tormentone dell’estate che verrà. Una sosta di immortale leggerezza, un why not? Penso proprio che sia meglio di una spuma, più divertente e sana di una sprite o di un estathe in spiaggia. Sicuramente non per i piccoli, ma una piacevole alternativa fresca per giovani e meno giovani durante giornate calienti.




La Spagna della Ribeira del Duero mi riporta nei ranghi con la sua storia enologica che dura da più di mille anni. Una terra calcarea, sabbiosa e ciottolosa, escursioni termiche marcate, ventilazione costante e tanta fatica per i cambiamenti climatici. Juan Manuel Martinez ha le mani grandi e segnate dalla terra, mi mostra foto di piante così grandi che sembrano alberi. L’azieda Milénico ha vigne anziane, hanno sessant’anni ma non si arrendono e producono una bassa resa di uve ma di qualità eccezionali. E’ il Tinta Fino, biotipo del tempranillo, il vitigno principe, quello da cui seguono i miei assaggi in una verticale sorprendente. Ogni annata diversa, per uso di legni e intensità di frutto, di calore in bocca e persistenza. Ogni annata è una variabile, niente o quasi accomuna le bottiglie, e sono felice per l’autenticità, la distrofia che sento in bocca data dall’artigianalità del vino, spontaneo sia nella fermentazione che nel suo gusto un po’ rude; l’emozione di un frutto marcato, di un tannino ballerino e di una mineralità che si fondono bene a vantaggio di una persistenza lunga e gradita.



O per bacco! Non mi perdo il Lussemburgo con una bollicina per pulire il palato ancora ricco di rossi potenti. Snodo finanziario mondiale, unico Granducato al mondo, ha delicatezza di immagine, e sorge con un Riesling 2020 iconico: fresco e profumato, una bolla un po’ grossa ma piacevole al momento. Subisco il fascino del crémant e mi concedo un sorso, del quale, però, il ricordo appassisce in breve tempo.

Calco il corridoio e finisco in Georgia, tra il Mar Nero ed il Mar Caspio. Azzardo un sorso, che non mi strabilia: un bianco da vitigno autoctono di cui non ricordo il nome, ma ammetto che apprezzo l’entusiasmo nella presentazione del prodotto. 

Una master class sul Pinot in Germania alle dieci di mattina mi accende il motore, provo una grande curiosità e, soprattutto, mi alleggerisco dall’ignoranza cosmica che provo attraversando i corridoi di Wine Paris - Vinexpo Paris. Da Ahr a Baden a Nahe, addestro il mio palato a capire che il pinot è davvero un vitigno che non teme confini. Alle varie versioni di pinot bianco (pinot bianco e pinot grigio per la precisione) assaggiate, ho preferito il rosso, di Recher Herrenberg di Ahr, un 2017 Spatburgunder che mi ha fatto esplodere in bocca fragole e lamponi, muschio, eleganza e mineralità senza sfacciataggine; una bella sorpresa per il mio cervello ancora assetato di novità.



Il padiglione n. 6 è grande, tutto dedicato alla Francia e, perciò, mi prendo un’intera giornata: parto e vado in Champagne, dove trovo una piccola azienda familiare, giovane e con la voglia di comunicare. Cado in piedi da subito, perché mi trovo ad Epernay, con un Leabeau-Batiste Brut Tradition: pinot meunier in prevalenza, chardonnay e in piccola parte pinot noir; un calice dai profumi di brioches, agrumi e frutta secca, una colazione completa, praticamente. Le bollicine sono impercettibili nel calice, ma la bocca è stuzzicata così tanto che non si può fare a meno di inghiottirlo e berne ancora. 




Denis è il figlio di Jean Velut e m’incrocia con lo sguardo mentre scivolo per il corridoio. Mi volto ed arretro di qualche centimetro: sassi giurassici, bottiglie eleganti, spiegazioni scientifiche et voilà, nuovamente con un calice ricco di profumi: il Brut “Premier Temps” al quale segue “Lumière et Craie” e, infine, il rosé per salasso “Rosé”. Champagne netti senza fronzoli, eleganti ma incisivi, provenienti dall’area di Aube, qui a Montgueux; sottosuoli più antichi di tutta la regione dello Champagne si risvegliano nelle bottiglie con un carattere incisivo e tagliente, con la piacevolezza del Lumière et Craie”: Chardonnay 100% eseguito con vini riserva e con un esordio dopo cinque anni di cantina. Non si scorda facilmente. 



Borgogna: Madame Jeanne Marie de Champs, con la sua energia, mi invita a sedermi. Un catalogo ricchissimo che racchiude tutta la Francia, ma il mio obiettivo, banalmente, è l’ambito Pinot Noir della Borgogna.

Parto con Domain Buisson Battault – Cote de Beaune – la 2018 e la 2020, Domaine Bart Marsannay – Cote de Nuits – Les Finottes 2020;  Domain Potinet Ampeau – cote de Beaune - ed i suoi Monthelie rouge 2015, Monthelie 1er cru Les Champs Fuillots 2017 e Volnay 1er cru Clos des Chenes 2011. Procedo con Domaine Bart Marsannay – Cote de Nuits – con les Finottes Monopole 2020 e Domaine Leymarie – Cote d’Or - Chamolle Musigny Aus Echangers 2018. Mancano le 2016 e 2019, annate con temperature bassissime proprio in primavera e, di conseguenza, hanno ridotto la produzione ai minimi termini in tutta la Borgogna. Ed è amore, come sempre, in quegli assaggi prestigiosi ed irresistibili, fatti di frutto ancora vivo per le annate più recenti che segna il calice di fucsia; ma la finezza e l’eleganza si esprimono ugualmente, e penso che ne vorrei fare scorta, metterli in cantina, farli ancora dormire e risvegliarli fra qualche anno. Quel dommage! se solo avessi una vera cantina…



Madame Jeanne Marie de Champs mi porta l’Hospices de Beaune 2017 ed è inevitabile un tuffo nella storia lunga secoli, fatta di carità, di cristianità, e di un’asta di beneficienza nella terza domenica di novembre: un avvenimento di fama mondiale, dove le cifre battute per questa etichetta sono da capogiro. Il ricavato è devoluto alle opere assistenziali dell’Ospedale di Baune. Vino-emblema degno ambasciatore dell’eccellenza del Pinot in Borgogna.




Che gli incontri non avvengano per caso è dato certo, ed è il giovane Grégoire Piat, il quale si trova accanto a Madame Jeanne Marie, mi chiede se voglio assaggiare i suoi vini. Ma siamo a Bordeaux! Fantastico il misunderstanding in cui mi trovo, poiché Grégoire è lì per caso, ospitato da Jeanne Marie, senza un banco tutto suo e, se vogliamo, nella regione sbagliata. Gregoire è un giovane produttore biodinamico dal 2002, ha portato con sé tutti i suoi vini di Chateau Couronneau (siamo nella regione Entre Deux Mers con suoli argillosi e calcarei); così, si riparte con il bianco Chateau Couronneau 50% pinot grigio e 50% sauvignon blanc, fresco e fruttato, per poi passare ai rossi davvero atipici. L’Eucuyer del Couronneau 2020 è un merlot 100% seduttivo, accattivante per il suo sorso longilineo. Ha un tessuto elegante, leggiadro al palato, che mi conquista ed è subito amore. Il Volte Face 2020 cabernet franc 40% e 60% merlot è vinificato in parte in anfora (italiana) ed in botti di legno: ha una bella estrazione di frutto, è speziato e presenta un aroma al cioccolato, mentre le Fougueux 2020 è 100% merlot, senza solfiti aggiunti e con fermentazione carbonica, così da regalare profumi di frutti scuri, un tannino elegante ed una persistenza incredibile. Tutte Bellissime emozioni.




Termino il viaggio con la Loira, assaggio Cabernet in rosa, Chenin blanc in versione nature, nella sua freschezza tagliente, e in versione più morbida sui Vovray vendemmia tardiva. Ogni sorso ha una sua storia, un bagaglio emozionale che lascia una traccia; ma se dovessi tornare indietro parteciperai ad ogni masterclass, ad ogni conferenza, ad ogni evento serale, ad ogni degustazione guidata, perché WineParis - Vinexpo Paris è stata così ricca che non sarebbero bastate 3 teste, 6 gambe e giornate di 48 ore. Bravi tutti per averci fatto rinascere.









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