Se le Ragazze di San Frediano dovessero scegliere fra Slovenia e Basilicata, andrebbero da Gunè.
Gunè, in greco antico vuol dire Donna.
Gunè è un ristorante che vuol essere un omaggio alle donne e in particolare alle donne forti.
Mi è piaciuto vedere il ritratto di Margherita Hack campeggiare su una delle pareti e leggere una citazione di Laura Morante incisa sul vetro della splendida ed immacolata cucina a vista.
Ho poi scoperto che la scelta di voler omaggiare l’universo femminile, è stata del Signor Nicola Langone, proprietario e custode di questo ristorante, che ha voluto creare una corrente sottorranea fra l’universo femminile della sua terra d’origine, la Basilicata, e Firenze, la sua città d’adozione.
E quale modo per mantenere viva questa fiamma se non organizzare una serata con i vini che provengono da un’altra splendida signora quale è la Slovenia?
Protagonista della cena degustazione sono i vini della famiglia Stekar: Malvasia, Emilio, Sivi Pinot, Filip Rebula, presentati da Jure Stekar.
Gli Stekar sono proprietari dell’omonima azienda fin dal 1700 e la loro attività si svolge nella zona di Goriska Brda in Slovenia. Nel 1985 Roman Stekar inizia a produrre vini e dà vita ad un piccolo agriturismo. Oggi, suo figlio Jure è la quarta generazione che porta avanti l’azienda di famiglia: undici ettari coltivati a vigneto, frutteto e bosco. La cura del vigneto è un fattore determinante per poter avere affinamenti sulle bucce lunghi (quasi tutti i suoi vini fanno almeno due settimane di macerazione) e se l’uva non è perfetta per affrontare questo genere di processo, semplicemente, non si fa il vino. Come è accaduto in alcune annate. Durante le fermentazioni non si usano solfiti e l’affinamento avviene in botti di vario tipo di legno e dimensione. Non si utilizza filtrazione o chiarificazione. La metodologia produttiva della famiglia Stekar ci ricorda che, come diceva Ernst Friedrich Shumacher (Piccolo è Bello edito nel 1973 anticipa una serie di temi ecologisti che negli ultimi anni sono diventati di gran moda), è possibile slegarsi dalla logica del paradigma della produzione di massa.
La cena si è aperta con una deliziosa ambose mouse, seguita da quaglie del Casentino ripiene ai datteri, topinambur al pepe Sichuan e menta cristallo.
Il topinambur e la menta sono in un certo senso le colonne portanti del piatto. Lo hanno reso “di Guné”. Se volete una cucina lavora sulle contaminazioni (soprattutto fra ingredienti e cucine regionali) siete nel posto giusto. Accanto alle deliziose quaglie casentinesi, la menta, e i datteri ci portano in tutto il Mediterraneo: nord Africa, Sardegna, Sicilia, Montecristo, Corsica. Il topinambur, per me, è stato il re del piatto.
Vino in abbinamento: Sterk Malvazija 2021 – 100% Malvasia Istriana
Da vendemmia manuale nel vigneto di Proèno, macera sette giorni sulle bucce e affina per nove mesi in botti di acacia.
Ha un profilo intenso e aromatico, secco, con una piacevole nota amara, frutta tropicale, mandorla e una mineralità interessante.
Mi è piaciuto molto il contrasto con la dolcezza del dattero.
E’ seguito un risotto al Bardiccio rufinese, rape rosse, estratto di radicchio e caciocavallo lucano.
Tutto estremamente equilibrato e armonico, il radicchio ha bilanciato benissimo il Bardiccio (la cui cottura è stata davvero ben fatta), e le rape rosse si sono sposate in modo sorprendente con il caciocavallo.
Vino in abbinamento: Emilio (dedicato al nonno) – Tocai 100%.
Fermenta sette giorni sulle bucce e affina per nove mesi in botti di legno. Al naso è floreale, note di pesca e mela cotogna. Secco, con una bella struttura. Una nota quasi “burrosa” alla fine, che ben lo ha fatto sposare al risotto.
Abbiamo proseguito con Vitel tonné… Sbagliato: Angus ai carboni con bernese all’acciuga, e tonno scottato al jus di vitello un piatto estremamente divertente. L’uso e l’esecuzione delle salse mi ha ricordato perché mi piacciono così tanto le salse ben fatte.
Vino in abbinamento: Sivi Pinot 2021. 100% Pinot Grigio. Dai vigneti Procno e Span. Il terreno dei vitigni è un’altra grande dama: la Ponca, formatasi in tempi risalenti in bacini lacustri, si presenta quindi come un’alternanza di strati duri caratterizzati da sabbie cementate dal calcio (l’arenaria) e uno strato più tenero (la marna) formata da limo debolmente cementa. Resta sulle bucce sessanta giorni e poi affina per undici mesi in botti di rovere.
In assoluto, in base alla mio opinione, il vino della serata: di un bel colore ramato, frutta secca e frutta a polpa gialle, albicocca, note speziate e iodate. Elegante.
L’abbinamento con il piatto ci ha fatto scoprire quanto questo vino sia versatile.
A concludere il pasto, praline di cioccolato come pre dessert, menzione per la pralina di cioccolato bianco e ribes nero, che ha conferito al cioccolato un’esplosione aromatica che mi ha ricordato la salvia. A seguire la torta di mele.
E formaggio: un erborinato con il cioccolato, un pecorino con il miele e burro di arachidi. Superbi. Il mio preferito è stato quello al miele.
Vino in abbinamento: Filip 2018 – Rebula 100% - Vitigni su terreni marnosi, raccolta manuale fermentazione naturale in barrique a contatto con le bucce, e successivo affinamento sempre in barrique francesi per ventiquattro mesi.
Dal colore quasi ambrato, con riflessi dorati, i profumi rimandano all’albicocca e alla mela cotogna, accompagnati da cenni di zenzero ed erbe officinali, scorza d’agrume e un’ombra di resina. Finale sapidissimo con alcuni ritorni speziati.
Serata molto interessante che ha permesso di conoscere un’area vitinicola e una cantina eccellente.
Le cose che mi hanno colpito di più: il servizio, preciso e attentissimo, i grissini che ricordano anche visivamente i bastoncini dei profumi, la contaminazione fra le cucine regionali, l’elegantissimo blu delle pareti - che mi ha ricordato il blu Bardini dell’omonimo museo – e che d’ora in poi, per me, sarà il blu-Gunè, la cura dei dettagli in bagno e i prodotti di cortesia per le donne, l’assoluta trasparenza, l’assenza di fronzoli e dirittura del signor Langone.
Testo e foto di Guidoriccio da Fogliano